L’affidamento dei figli in caso di separazione o divorzio è disciplinato dal Decreto legislativo n. 154 del 28 dicembre 2013. Secondo l’art. 337 ter c.c. il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con entrambi i genitori, di ricevere cura, educazione e istruzione da ciascuno di essi, e di conservare relazioni significative con i parenti delle rispettive famiglie di origine (nonni, zii, cugini).
Affidamento condiviso dei figli, le regole generali
In caso di separazione dei genitori, salvo diversi accordi tra i coniugi, il giudice valuta prioritariamente l’affidamento a entrambi i genitori (affidamento condiviso). La legge, infatti, assicurando la bigenitorialità, agisce nell’esclusivo interesse morale e materiale dei minori, affinché possano mantenere, anche dopo la crisi familiare, un rapporto equilibrato e continuativo con entrambi i genitori.
In questo caso, la potestà genitoriale viene esercitata congiuntamente. Ciò vuol dire che i genitori, insieme, dovranno prendere le decisioni di straordinaria amministrazione (istruzione, educazione e salute), tenendo conto delle capacità, dell’inclinazione naturale, delle aspirazioni e dell’interesse del figlio. In caso di disaccordo la scelta è rimessa al giudice. Rispetto alle scelte su questioni di ordinaria amministrazione (che riguardano la vita quotidiana) il giudice può stabilire che i genitori esercitino la potestà separatamente.
Per quanto concerne il contributo economico per il mantenimento del minore, ciascuno dei genitori deve provvedere in misura proporzionale al reddito percepito. Come stabilito dall’art. 155, ove necessario, il giudice stabilisce la corresponsione di un assegno periodico al fine di realizzare il principio di proporzionalità, da determinare considerando:
- Le attuali esigenze del figlio;
- Il tenore di vita goduto in costanza di convivenza con entrambi i genitori;
- I tempi di permanenza presso ciascun genitore;
- Le risorse economiche di entrambi i genitori;
- La valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore.
L’assegno viene automaticamente adeguato agli indici Istat in difetto di altro parametro indicato dalle parti o dal giudice. Questa disposizione si applica anche nei procedimenti relativi ai figli di genitori non congiunti e all’ipotesi in cui venga disposto l’affidamento esclusivo.
Diverso dall’affidamento, è il collocamento dei figli, cioè dove dovranno abitare, che può essere:
- Prevalente: quando il minore ha la residenza prevalentemente presso il genitore considerato più idoneo ad assicurargli una vita domestica serena (di solito coincide con la madre). Questa, è la soluzione adottata più spesso dai giudici perché la meno traumatica.
- Alternato: quando il minore abita in modo alternato con ognuno dei genitori (es. un mese con la madre e uno con il padre).
- Invariato: quando il minore abita stabilmente quella che era la sua residenza familiare, e i genitori si alternano a vivere con lui.
Affidamento esclusivo, cosa significa
L’affidamento a un solo genitori (detto “affidamento esclusivo”) oggi, rappresenta l’eccezione alla regola. Se il giudice ritiene che l’affidamento condiviso sia contrario agli interessi del minore, può decidere di affidarlo a uno dei genitori. Questo principio si applica a tutti i figli, anche a quelli nati fuori dal matrimonio.
Oltre alla potestà sui figli, il genitore affidatario in via esclusiva, ha anche l’amministrazione e l’usufrutto legale sui loro beni. Il coniuge non affidatario conserva l’obbligo (e il diritto) di istruire, educare i figli e di mantenerli. È tenuto, infatti, a versare mensilmente un assegno di mantenimento, comprensivo anche delle somme relative alle spese considerate straordinarie (es. quelle mediche, ricreative, sportive, scolastiche o per le vacanze).
Oltre al giudice, ciascun genitore può chiedere l’affidamento esclusivo dei figli minori, ma le motivazioni alla base di tale richiesta devono essere adeguatamente provate.